[...] Amavo Matteo, ora ne ero sicura, ma amavo i miei figli di più e per niente al mondo avrei voluto deluderli. Ora come mai nella mia vita mi rendevo conto che il matrimonio impone legami che non si possono spezzare. “Finché morte non ci separi”. Era dura da accettare, era la negazione di ogni libertà individuale, era anteporre il bene degli altri al proprio, era negarsi di provare sentimenti diversi perché illeciti. Tradire era l'unico modo per riappropriarsi di se stessi ed io questo stavo facendo, ma ne avvertivo sempre di più il peso. Mi sfuggiva però un particolare importante: nessuno mi obbligava a rispettare un patto che io avevo accettato. Si trattava solo di assumermi responsabilità che rifiutavo. Fu Matteo a rendermi consapevole del mio errore di fondo, una sera prima di andarsene, dopo un pomeriggio un po' movimentato. Io mi ero lamentata ancora una volta della sua mancanza di libertà che ci costringeva a vederci solo qualche ora e sempre un po' di fretta e lui, forse esasperato, mettendo da parte quella sua aria scanzonata che tanto mi piaceva, mi guardò dritto negli occhi e mi disse:
<<Marta rimaniamo a cena? Così ci prendiamo altre due o tre ore. Che ne dici?>>
<<Stasera non posso, con Tommaso sono già abbastanza in difficoltà.>>
<<E allora di cosa parli? Parole al vento. In realtà ti mancano le basi. Quello che mi chiedi significherebbe per me autodenunciarmi e separarmi da mia moglie. Non sono pronto per questo, te l'ho spiegato molte volte. Ma tu? Sei pronta tu? No. Me l'hai appena dimostrato. Anche tu vuoi tutelare la tua famiglia. Comincia tu a dirmi di sì quando ti chiedo di restare ancora e smetti di fare l'amore con tuo marito che sai che non lo sopporto, anche se fosse una volta al mese e forse le cose andranno da sole, senza discutere tanto.
Era la prima volta che mi affrontava così seriamente. Aveva messo il dito nella piaga e io, che stavo per scendere dalla macchina, non trovai le parole per replicare.
Quando tornai a casa Tommaso non c'era. Con un sms mi aveva avvertito che rimaneva a cena con amici. Anche Matteo mi mandò un sms: “Ti amo ma se vuoi non ci vediamo più”.
Scaraventai l borsa sul divano e mi misi seduta cercando di ritrovare la calma.
Aveva ragione Matteo: non intendevo separarmi da mio marito e approfittavo della tolleranza di Tommaso per sbandierare la mia maggiore libertà. Era vero però che ci stavamo allontanando sempre di più, che avevo quasi smesso di farci l'amore perché non sopportavo di fingere e di sentirmi spaccata in due. In tutto il casino che avevo dentro mi era rimasta almeno l'onestà di non illudere mio marito sul fatto che lo desiderassi e che fosse tutto normale. Non potevo darmi a lui pensando a un altro, ma ogni tanto lo facevo perché avevo paura di compromettere irrimediabilmente tutto. Ma per quanto sarei riuscita a destreggiarmi in una situazione così ambigua? Fino a quando avrei potuto confidare sull'inerzia di Tommaso? Sul suo far finta di niente per non rompere una stabilità a cui entrambi avremmo rinunciato con difficoltà?
Ero nervosa, arrabbiata con Matteo e con Tommaso, ma soprattutto con me stessa. Mi ero infilata in una situazione senza via d'uscita. O meglio: una via d'uscita c'era, anzi, ce n'erano due, ma nessuna delle due era pienamente soddisfacente e in più dovevo fare i conti con le mie paure.
Lasciare Matteo. La cosa più sensata da fare, se non fosse stato per un piccolo particolare: io lo amavo. Ma era proprio amore o ero io che volevo crederci per forza? In fondo lo conoscevo da pochi mesi, abitava lontano, non pensava affatto di lasciare sua moglie e non perdeva occasione per ricordarmelo. Che cosa speravo?
Lasciare Tommaso. Impensabile. Ci conoscevamo da una vita, avevamo costruito insieme la nostra famiglia, era il padre dei miei figli, lo avevo amato molto. Ma le cose erano cambiate. Gli volevo bene, questo sì, ma non ero più felice con lui. Potevano bastare l'affetto, la stima, l'abitudine per passarci insieme il resto della mia vita? Non ne ero sicura.
Mi maledicevo per aver messo in piedi quel casino, imprudentemente avevo lasciato crescere il mio sentimento per Matteo e ora l'idea di non vederlo più, perché questa, razionalmente, mi sembrava la cosa più sensata da fare, mi atterriva, mi gettava nell'angoscia. Avrei continuato a fingere, ancora per un po', almeno fino a quando non mi si fossero schiarite le idee. Cercare di non pensarci poteva essere una soluzione momentanea, ma si trattava solo di rimandare un problema che a breve si sarebbe riproposto.
Intanto i mesi passavano e le cose andavano peggiorando.
Tra me e Matteo la gelosia si era insinuata in modo sempre più compromettente: lui non sopportava l'idea di mio marito che trascorreva il suo tempo con me, che mi toccava, che ci faceva l'amore e per me era la stessa cosa. Tanta era la rabbia che ci portavamo dentro che ci capitava spesso di litigare, fino anche a decidere di lasciarci, poi però i nostri incontri erano sempre più accesi di una passione che non ci lasciava via di scampo e ci costringeva a progettare nuovi incontri. Quando eravamo costretti a stare lontani i nostri sentimenti si rincorrevano al telefono o sul pc. Quasi ogni sera, dopo aver spedito a letto tutta la famiglia, ci ritagliavamo uno spazio nostro per stare comunque vicini. La tastiera del telefono o del pc diventava il veicolo attraverso cui i nostri desideri, le nostre paure, la nostra complicità prendevano forma. Riuscivamo a dirci tutto quello che avevamo dentro, senza timidezza e senza freni: il fatto di non guardarsi negli occhi riusciva ad annullare ogni pudore, erano due energie che si incontravano senza veli.
<<Marta, l'idea che fai l'amore con lui non riesco più a sopportarla. Ogni volta che la sera devi salutarmi perché lui ti reclama, oppure quando apro il pc e non ti trovo mi sembra di impazzire, sento proprio un male fisico. Voglio che tu sia solo mia.>>
<<Ma come faccio??? Già così è difficile mantenere in piedi un rapporto, lo capisci da solo. Come faccio a negarmi completamente? Tanto vale confessargli tutto! E poi credi che per me non sia la stessa cosa? Io impazzisco anche solo all'idea che ci vai insieme a fare la spesa.>>
<<Ma non è la stessa cosa. Mia moglie è una abbastanza fredda, non lo facciamo quasi mai, anche perché difficilmente riusciamo a stare soli e mio figlio è sempre nel letto con noi. Quando capita dura dieci minuti e poi se ne riparla dopo mesi. Non è la stessa cosa per te, lui ti cerca in continuazione!>>
<<Allora devo dirglielo? Mi stai chiedendo questo?>>
<<No, non chiedo niente, ma presto vengo e ti porto via. Ti voglio con me, nella mia vita.>>
E questo era l'impeto della gelosia, ma alcune volte invece era freddamente razionale e quando ero io a esprimere il mio desiderio di una storia diversa ed esclusiva cambiava tono e idea:
<<In questo momento non potrei affrontare economicamente una separazione e poi mio figlio è troppo piccolo. Dammi tempo, sei tu la donna che voglio. Lei è insopportabile, ogni giorno di più, una situazione così non può durare.>> Mi attaccavo alle sue rassicurazioni e mi facevo solcare dalla sua gelosia.
Tommaso ovviamente cominciava a diventare sospettoso, non gli sfuggiva che andare a dormire ogni sera alle tre era un modo per evitarlo e soprattutto mi chiedeva cosa facessi alzata fino a quell'ora. Provavo ad essere evasiva ma poi tutte le chiamate che ricevevo e i continui sms andavano ad alimentare i suoi dubbi. Ogni tanto cercava di inchiodarmi in interrogatori che sopportavo sempre peggio e mi rendevano aggressiva.
<<Tommaso, forse se tu fossi meno pesante e tu capissi di più le mie esigenze sarebbe tutto più semplice. Hai i tuoi interessi, di me ti ricordi quando senti l'impaccio dei pantaloni, cosa pretendi? Mi prendo degli spazi, cerco di coltivare anch'io qualche interesse, l'astrologia, la musica, qualche forum sulla medicina naturale. Cosa c'è di male? Hai da propormi qualche alternativa più allettante che non sia quindici minuti di sesso?>>
Mi rendevo conto di essere pesante e mi sentivo anche in colpa. Come faceva a credermi? Questo suo fidarsi, almeno apparentemente, delle mie stupide bugie lo rendeva sempre meno interessante ai miei occhi e il suo lasciar correre in attesa di tempi migliori senza fare niente per riavvicinarmi mi faceva pensare che nemmeno lui mi amasse più di tanto.
E Matteo invece mi amava davvero? Me lo scriveva ogni giorno, lo sentivo vicino, ma quanto era disposto a rischiare la sua stabilità per me? A volte sembrava che non potesse fare a meno di me, la sua presenza si faceva perfino invadente, a casa, al lavoro, di giorno, di notte, ma a me chiedeva di non chiamare né mandare sms quando era a casa. Io organizzavo il tempo da passare con mio marito e i miei impegni in funzione di lui ma lui metteva al primo posto i suoi impegni familiari. Dopo circa un anno e mezzo il nostro rapporto si era fatto più profondo ed era ancora molto intenso di passione, gli credevo e mi fidavo di lui, fino a che mi comunicò del viaggio a Parigi che avrebbe fatto alla fine del mese di ottobre.
Quando tornai a casa Tommaso non c'era. Con un sms mi aveva avvertito che rimaneva a cena con amici. Anche Matteo mi mandò un sms: “Ti amo ma se vuoi non ci vediamo più”.
Scaraventai l borsa sul divano e mi misi seduta cercando di ritrovare la calma.
Aveva ragione Matteo: non intendevo separarmi da mio marito e approfittavo della tolleranza di Tommaso per sbandierare la mia maggiore libertà. Era vero però che ci stavamo allontanando sempre di più, che avevo quasi smesso di farci l'amore perché non sopportavo di fingere e di sentirmi spaccata in due. In tutto il casino che avevo dentro mi era rimasta almeno l'onestà di non illudere mio marito sul fatto che lo desiderassi e che fosse tutto normale. Non potevo darmi a lui pensando a un altro, ma ogni tanto lo facevo perché avevo paura di compromettere irrimediabilmente tutto. Ma per quanto sarei riuscita a destreggiarmi in una situazione così ambigua? Fino a quando avrei potuto confidare sull'inerzia di Tommaso? Sul suo far finta di niente per non rompere una stabilità a cui entrambi avremmo rinunciato con difficoltà?
Ero nervosa, arrabbiata con Matteo e con Tommaso, ma soprattutto con me stessa. Mi ero infilata in una situazione senza via d'uscita. O meglio: una via d'uscita c'era, anzi, ce n'erano due, ma nessuna delle due era pienamente soddisfacente e in più dovevo fare i conti con le mie paure.
Lasciare Matteo. La cosa più sensata da fare, se non fosse stato per un piccolo particolare: io lo amavo. Ma era proprio amore o ero io che volevo crederci per forza? In fondo lo conoscevo da pochi mesi, abitava lontano, non pensava affatto di lasciare sua moglie e non perdeva occasione per ricordarmelo. Che cosa speravo?
Lasciare Tommaso. Impensabile. Ci conoscevamo da una vita, avevamo costruito insieme la nostra famiglia, era il padre dei miei figli, lo avevo amato molto. Ma le cose erano cambiate. Gli volevo bene, questo sì, ma non ero più felice con lui. Potevano bastare l'affetto, la stima, l'abitudine per passarci insieme il resto della mia vita? Non ne ero sicura.
Mi maledicevo per aver messo in piedi quel casino, imprudentemente avevo lasciato crescere il mio sentimento per Matteo e ora l'idea di non vederlo più, perché questa, razionalmente, mi sembrava la cosa più sensata da fare, mi atterriva, mi gettava nell'angoscia. Avrei continuato a fingere, ancora per un po', almeno fino a quando non mi si fossero schiarite le idee. Cercare di non pensarci poteva essere una soluzione momentanea, ma si trattava solo di rimandare un problema che a breve si sarebbe riproposto.
Intanto i mesi passavano e le cose andavano peggiorando.
Tra me e Matteo la gelosia si era insinuata in modo sempre più compromettente: lui non sopportava l'idea di mio marito che trascorreva il suo tempo con me, che mi toccava, che ci faceva l'amore e per me era la stessa cosa. Tanta era la rabbia che ci portavamo dentro che ci capitava spesso di litigare, fino anche a decidere di lasciarci, poi però i nostri incontri erano sempre più accesi di una passione che non ci lasciava via di scampo e ci costringeva a progettare nuovi incontri. Quando eravamo costretti a stare lontani i nostri sentimenti si rincorrevano al telefono o sul pc. Quasi ogni sera, dopo aver spedito a letto tutta la famiglia, ci ritagliavamo uno spazio nostro per stare comunque vicini. La tastiera del telefono o del pc diventava il veicolo attraverso cui i nostri desideri, le nostre paure, la nostra complicità prendevano forma. Riuscivamo a dirci tutto quello che avevamo dentro, senza timidezza e senza freni: il fatto di non guardarsi negli occhi riusciva ad annullare ogni pudore, erano due energie che si incontravano senza veli.
<<Marta, l'idea che fai l'amore con lui non riesco più a sopportarla. Ogni volta che la sera devi salutarmi perché lui ti reclama, oppure quando apro il pc e non ti trovo mi sembra di impazzire, sento proprio un male fisico. Voglio che tu sia solo mia.>>
<<Ma come faccio??? Già così è difficile mantenere in piedi un rapporto, lo capisci da solo. Come faccio a negarmi completamente? Tanto vale confessargli tutto! E poi credi che per me non sia la stessa cosa? Io impazzisco anche solo all'idea che ci vai insieme a fare la spesa.>>
<<Ma non è la stessa cosa. Mia moglie è una abbastanza fredda, non lo facciamo quasi mai, anche perché difficilmente riusciamo a stare soli e mio figlio è sempre nel letto con noi. Quando capita dura dieci minuti e poi se ne riparla dopo mesi. Non è la stessa cosa per te, lui ti cerca in continuazione!>>
<<Allora devo dirglielo? Mi stai chiedendo questo?>>
<<No, non chiedo niente, ma presto vengo e ti porto via. Ti voglio con me, nella mia vita.>>
E questo era l'impeto della gelosia, ma alcune volte invece era freddamente razionale e quando ero io a esprimere il mio desiderio di una storia diversa ed esclusiva cambiava tono e idea:
<<In questo momento non potrei affrontare economicamente una separazione e poi mio figlio è troppo piccolo. Dammi tempo, sei tu la donna che voglio. Lei è insopportabile, ogni giorno di più, una situazione così non può durare.>> Mi attaccavo alle sue rassicurazioni e mi facevo solcare dalla sua gelosia.
Tommaso ovviamente cominciava a diventare sospettoso, non gli sfuggiva che andare a dormire ogni sera alle tre era un modo per evitarlo e soprattutto mi chiedeva cosa facessi alzata fino a quell'ora. Provavo ad essere evasiva ma poi tutte le chiamate che ricevevo e i continui sms andavano ad alimentare i suoi dubbi. Ogni tanto cercava di inchiodarmi in interrogatori che sopportavo sempre peggio e mi rendevano aggressiva.
<<Tommaso, forse se tu fossi meno pesante e tu capissi di più le mie esigenze sarebbe tutto più semplice. Hai i tuoi interessi, di me ti ricordi quando senti l'impaccio dei pantaloni, cosa pretendi? Mi prendo degli spazi, cerco di coltivare anch'io qualche interesse, l'astrologia, la musica, qualche forum sulla medicina naturale. Cosa c'è di male? Hai da propormi qualche alternativa più allettante che non sia quindici minuti di sesso?>>
Mi rendevo conto di essere pesante e mi sentivo anche in colpa. Come faceva a credermi? Questo suo fidarsi, almeno apparentemente, delle mie stupide bugie lo rendeva sempre meno interessante ai miei occhi e il suo lasciar correre in attesa di tempi migliori senza fare niente per riavvicinarmi mi faceva pensare che nemmeno lui mi amasse più di tanto.
E Matteo invece mi amava davvero? Me lo scriveva ogni giorno, lo sentivo vicino, ma quanto era disposto a rischiare la sua stabilità per me? A volte sembrava che non potesse fare a meno di me, la sua presenza si faceva perfino invadente, a casa, al lavoro, di giorno, di notte, ma a me chiedeva di non chiamare né mandare sms quando era a casa. Io organizzavo il tempo da passare con mio marito e i miei impegni in funzione di lui ma lui metteva al primo posto i suoi impegni familiari. Dopo circa un anno e mezzo il nostro rapporto si era fatto più profondo ed era ancora molto intenso di passione, gli credevo e mi fidavo di lui, fino a che mi comunicò del viaggio a Parigi che avrebbe fatto alla fine del mese di ottobre.
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