lunedì 2 giugno 2014

.....un addio..... (da "Amanti"- cap. XXXIII)

Quando riaccesi il telefono una mitragliata di segnali acustici mi avvertì che di sicuro lui non ne voleva sapere. Mi diceva che mi amava, che lui era preoccupato per me perché non poteva darmi quello che meritavo ma non ce la faceva a rinunciare a me, che non mi avrebbe lasciato andare, che presto sarebbe tornato da me, che ero una persona speciale. Si scusava del fatto che mi faceva soffrire, che era l'ultima cosa che avrebbe voluto. Io tirai un sospiro di sollievo ma di fatto non c'era un benché minimo accenno al fatto che pur di non perdermi avrebbe fatto non dico chissà che, ma almeno un minimo passo per chiarire la sua posizione. Per alcuni giorni non risposi anche se lui continuava a chiamarmi e a scrivermi. Volevo mancargli, volevo che sentisse il vuoto come lo sentivo io ogni volta che stava con lei. Erano belle e commoventi le parole d'amore che scriveva e alla fine cedetti. Tutto ricominciò come prima e anzi, rassicurato dalla mia debolezza e dal mio amore, lui si fece ancora più arrogante. Ogni volta che parlavamo dell'argomento lui sottolineava che non vedeva il suo futuro insieme a me.

<<Sei lontana, sei più grande di me, se volessi un altro figlio tu non potresti darmelo. Se tu fossi stata più giovane mi sarei già separato.>>

C'era una tale cattiveria nelle cose che diceva e anche una tale contraddizione che io non so come facevo a starlo ad ascoltare e a continuare a vederlo e a farci l'amore. A nessuno raccontavo di queste nostre conversazioni dopo le quali io mi sentivo annientata, anche perché di opinioni e consigli ne ricevevo abbastanza anche senza chiedere. Quando lui si rendeva conto che mi feriva poi cercava di rimediare:

<<Lo sai anche tu che razionalmente le cose stanno come ti dico, ma non te la devi prendere, io ci scherzo anche un po' su per esorcizzare. Poi però ti cerco sempre, voglio sentirti, vederti, ti desidero. Solo questo conta.>>

Gli credevo, avevo bisogno di credergli perché mi sentivo troppo fragile e troppo sola. Accusavo la situazione difficile di essere l'unico motivo di attrito tra noi, ma ero convinta che fossimo due anime gemelle: quando stavamo insieme tutto era perfetto, i nostri caratteri si completavano e si arricchivano a vicenda, le nostre diversità erano ciò che ci piaceva di più l'uno dell'altra: io dolce, romantica, passionale, sempre un po' tra le nuvole, sempre pronta a giocare, talvolta un po' timida; lui apparentemente più cinico, concreto, ironico, sicuro di sé, spavaldo. E attrazione fisica e passione tanta, incontrollabile. Mi sfuggiva però che le situazioni si possono modificare, basta sapere bene cosa si vuole. Io volevo lui più di ogni altra cosa e non avevo esitato a fare scelte precise, lui evidentemente non voleva me più di ogni altra cosa perché si rifiutava anche di affrontare la questione del suo rapporto con sua moglie: non si parlavano mai, così diceva. Lui non era più innamorato e forse nemmeno lei, avevano un rapporto di convenienza e un figlio da crescere, niente di più, anzi, si sopportavano poco e male. Ovviamente tutto questo contrastava con quello che poi mi raccontava della sua vita: fuori dal lavoro erano sempre insieme, facevano un sacco di cose, frequentavano gli stessi amici. Insomma, al di là di quello che poteva essere il loro rapporto (ovviamente non avrei mai saputo come stavano esattamente le cose), io mi sentivo sempre più a disagio in questa storia e non riuscivo a nasconderlo ogni volta. Ero malinconica anche con lui, ma lui aveva imparato a non darci troppo peso e cercava di sdrammatizzare sempre. Il suo atteggiamento con me era immutato: era sempre affettuoso, appassionato, mi desiderava allo stesso modo, ma il tempo che passavamo insieme era sempre meno, al telefono era più formale e, siccome evitavamo argomenti scomodi, spesso non sapevamo nemmeno cosa dire, ci raccontavamo in modo asettico le nostre giornate e lui tendeva sempre a sottolineare la sua stanchezza per gli impegni di lavoro che crescevano in modo esponenziale. Forse era vero, o forse era solo un modo per giustificare il fatto che i nostri incontri, che già si erano notevolmente accorciati, si sarebbero anche diradati. In effetti questo mio presentimento corrispose al vero. Ma lo amavo ogni giorno di più, non riuscivo a fare a meno di lui e, nonostante provassi a lasciarlo almeno ogni due mesi, poi gli bastava un gesto, una parola, per farmi recedere dai miei propositi e non solo, finivo sempre per accettare le sue condizioni, ogni volta più restrittive, e anche per credere alle sue giustificazioni:

<<Il lavoro è aumentato, lei è sempre più sospettosa, mio figlio man mano che cresce si fa più impegnativo, sono stanco di essere così ambiguo, ma non ti voglio perdere.>>

“Non ti voglio perdere”. Le parole magiche che mi davano la forza di crederci ancora, nonostante avesse smesso di dirmi che mi amava e che gli mancavo. Era una relazione ormai stanca, lo avvertivo chiaramente, necessitava di un salto di qualità e non di quell'inerzia che la stava dissanguando. Erano lontani i pomeriggi passati chiusi in una stanza a fare l'amore fino a non poterne più, con il magone di dover tornare a casa, lontano l'entusiasmo per ogni contatto che riuscivamo ad avere, lontana l'incoscienza di fregarsene del mondo intero per stare insieme anche solo un'ora. Tutto questo mi faceva soffrire molto, ma preferivo stare male piuttosto che non avere niente. Nei giorni in cui la rabbia e la disperazione mi davano la forza per non rispondergli o per dirgli di non cercarmi mi sentivo sprofondare in un abisso nero. Resistevo un giorno o due e poi lo finivo per chiamarlo, implorando ed elemosinando la sua attenzione, senza più dignità. Sentivo che eravamo agli sgoccioli. Lui era sempre più assente, spesso all'ultimo momento mi diceva che non poteva venire e non sembrava nemmeno tanto dispiaciuto. Avevo cominciato a sentirmi non più di una squallida amante anche se lo amavo disperatamente. Gli unici momenti di sollievo erano quelli in cui Matteo litigava con sua moglie: allora tornava ad essere tenero, assiduo e aveva più voglia di vedermi. Tutto questo era diventato umiliante e niente affatto dignitoso e io stavo così male che promisi a me stessa di non farmi sfuggire la prima occasione che si fosse presentata per avere il pretesto di interrompere quella logorante agonia.

Un altro anno era passato. Ci trovammo una mattina d'inverno (circa a metà di febbraio), dopo circa due settimane di lontananza. Decisi di accantonare ogni malessere per dare una nuova possibilità a questa storia. Lui era allegro e frizzante come tutte le volte, ormai poche, che ci vedevamo. Faceva freddo quindi decidemmo di rinunciare alla solita passeggiata e di fermarci da qualche parte in macchina. Dopo quindici giorni mi aveva concesso di stare con me ben quattro ore! Mi lasciai contagiare dalla sua allegria e mi impegnai a vivere quel breve spazio di tempo con tutta l'intensità possibile. Volevo scuoterlo da quel torpore indifferente in cui era caduto.
<<Esprimi un desiderio.>> gli dissi guardandolo con aria sognante e un po' maliziosa dopo che ci fummo fermati lontano da sguardi curiosi.
<<Qualunque cosa?>> mi chiese con uno sguardo più malizioso del mio.
<<Certo. Sono la fatina dei sogni.>>
<<Vorrei le tue mutandine qui sul cruscotto.>> Non me lo aspettavo, ormai anche la nostra intimità era diventata ordinaria, appassionata ma non più giocosa. Mi sentii un po' in imbarazzo, ma ormai il gioco era cominciato e io volevo catturarlo. Mi sbottonai i jeans e me li tolsi lentamente, poi sfilai le brasiliane di pizzo bianco che adagiai con aria trionfante sul volante. Percepii la sua eccitazione mentre mi diceva:
<<Wow! Fatina, visto che oggi sono stato buono posso esprimere un altro desiderio?>>
<<Ma sei stato proprio buono?>>
<<Sì, buonissimo!>>
<<Allora te lo concedo. Cosa vuoi ora?>>
<<Il tuo reggiseno vicino alle mutandine.>>
Mi guardava mentre lentamente slacciavo il golfino e la mia pelle si offriva al suo sguardo. Mi liberai della maglia e, continuando a fissarlo negli occhi, sfilai il reggiseno e lo appoggiai vicino alle brasiliane. Ero completamente nuda di fronte a lui, mi erano rimaste solo le autoreggenti. Mi guardava con desiderio mentre con l'indice tracciò una linea lungo la spalla fino al capezzolo. Si soffermò un attimo accarezzandolo fino a che non fu ben turgido, poi scivolò lungo la pancia fino a sfiorare la mia intimità già umida di desiderio. Ritrasse poi il dito e se lo portò alle labbra.
<<Hai un buon sapore fatina.>> disse con voce rauca mentre si sfilava il maglione e si slacciava i pantaloni che costringevano la sua erezione. Ero imbarazzata di fronte a quegli occhi che mi fissavano ingordi e aspettavo con trepidazione un nuovo contatto con la sua pelle. Quanto si fu tolto i jeans mi venne addosso e penetrandomi cominciò a baciarmi con passione. Fu un momento di rara intensità e quel suo muoversi lento dentro di me mi scatenò delle sensazioni così forti che in pochi minuti mi lasciai completamente andare. Esplose il mio piacere all'unisono col suo e un grido risuonò in quello spazio angusto:
<<Ti amo!>> poi scoppiai a piangere. Matteo si adagiò sopra di me asciugando con le dita le mie lacrime e baciandomi i capelli.
<<Sei proprio sciocchina...>> mi disse teneramente sorridendo, ma il mio “ti amo” non aveva ricevuto risposta. Sentii un dolore acuto in mezzo al petto e, dopo qualche minuto di silenzio, che mi servì per calmarmi, lui, mentre si rivestiva e mi riconsegnava i vestiti e la biancheria, riprese a conversare tranquillamente. Lo ascoltavo senza parlare mentre mi ricomponevo, ero un po' stordita e taciturna.
<<...e poi in aprile abbiamo deciso di andare a New York. E' da tanto che ci voglio andare. Volevamo andare con una coppia di amici. I bambini stavolta li lasciamo a casa, per loro è un viaggio troppo lungo. In questi giorni andremo in agenzia per vedere come ci possiamo organizzare.>>
Fu come ricevere un pugno in mezzo allo stomaco seguito da uno in pieno viso. Ma come poteva farmi questo? Avevamo ancora sulla pelle i fremiti dell'amore, avevo appena smesso di piangere e già la sua testa era da un'altra parte? Ma non finì qui. Appena fummo ripartiti squillò il suo telefono. Una voce femminile: sicuramente era lei, lo percepii anche dalle sue risposte sintetiche.
<<Sì, ok. Farò in modo di esserci.>> e poi rivolto a me:
<<Era mia moglie. Vuole che alle tre la accompagni dal medico. Tra venti minuti, massimo mezz'ora devo ripartire.>>
<<Ma sta male?>>
<<No, è solo una visita di controllo di routine, però ha piacere che la accompagni.>>
<<Ma avevi detto che rimanevi fino alle 15.30!>>
<<Lo so amore, ma non voglio contrariarla. Alle 14.00 riparto altrimenti mi tiene il muso per una settimana.>>
<<Ok.>>
Non riuscii a dire altro, mi sentivo completamente disarmata, cosa mai avrei potuto dire? Rimasi in silenzio mentre mi riaccompagnava alla macchina. Ogni tanto si girava a spiare la mia espressione e poi, come a giustificarsi:
<<Marta lo sapevi che sono sposato...>> Non gli feci aggiungere altro, sapevo ormai tutto a memoria e non ci vedevo più dalla rabbia:
<<Non ce la posso fare!>> urlai tra le lacrime <<Matteo, non voglio vederti né sentirti più! Mai più!!>> e mi chiusi il viso tra le mani singhiozzando.
<<Marta ma che dici? Non fare i capricci come una bambina. Siamo stati benissimo insieme!>>
<<Tu forse sei stato benissimo! Ti ho gridato che ti amo e nemmeno mi hai risposto! Subito dopo aver fatto l'amore non hai trovato niente di meglio da fare che dirmi della vostra prossima luna di miele a New York e ora te ne vai due ore prima perché lei ha piacere che l'accompagni! Ma di me che sono due settimane che aspetto di stare un po' con te te ne importa qualcosa? A parte avermi scopato cosa mi hai dato in queste due ore?>>
<<Hai ragione. Scusa...>>
<<Scusa un cazzo!!! ce l'hai un minimo di sensibilità per immaginare come posso aver passato questi ultimi mesi?>>
<<Su, fa' la brava. Non mettermi il magone. Ti prometto che torno presto.>>
<<Non hai capito. Non devi farmi più nessuna elemosina. Sono mesi che fai promesse che poi non mantieni. Ogni volta che ti concedi è come se tu dovessi farmi un favore! Basta! Guardami bene ora: non ti ricapiterà!>>
<<Marta ma dici sul serio?>> aveva perso la sua espressione scanzonata e aveva gli occhi lucidi.
<<Sì Matteo, non sono mai stata così seria. Non merito di essere presa così in giro. Io ho mandato all'aria la mia vita per te! Tu non hai nemmeno il buon gusto di risparmiarmi le scenette da mulino bianco che ti piace tanto raccontare. Mi sento trattata come una puttana, gratis per giunta!>>
<<Amore lo sai che non è così...>>
<<Ma quale amore? Se non fossi così disperata mi verrebbe da ridere! Non potevi dirle che non ce la facevi a rientrare? Non poteva andare da sola? Ma tanto Marta è paziente e accetta tutto. Basta! Basta! Basta! Tieniti la tua vita felice ma non cercarmi più!>>
<<Marta io ti amo...>> e non riuscì a trattenere le lacrime mentre la voce gli si rompeva <<Hai ragione ma non è facile nemmeno per me. Non so davvero come fare, ma una cosa la so di sicuro: non voglio perderti!>>
Distolsi lo sguardo per non vedere il suo pianto e continuai a inveire:
<<Tu non sai nemmeno cosa vuol dire amare altrimenti non avresti tanti dubbi! E, soprattutto, avresti le palle per fare una scelta! Credi che sia stato facile per me dire a mio marito che non volevo più farci l'amore perché amavo un altro? E credi che sia facile anche ora fare i conti con la solitudine e con i sensi di colpa? Trovarmi ogni sera nel letto da sola a pensare a te che sei nel letto con un'altra e magari ci fai anche l'amore? Cosa ti ho fatto per meritarmi questo? Pensavo fosse una questione di tempo, ma più il tempo passa e più ti approfitti in modo indegno dei miei sentimenti!>>
<<Non so cosa dire. E' tutto vero quello che dici, ti meriti di meglio...>> Era pallido da far paura ma non riuscii a impietosirmi.
<<Non ti dovevi sforzare di dire niente: bastava che tu chiamassi per dirle che non potevi rientrare. Ma non l'hai fatto. Più chiaro di così...Addio Matteo. Ti amo da morire ma non posso farmi annientare da te.>>
Stavamo piangendo tutti e due. Scesi dalla sua macchina e salii sulla mia. Misi in moto e letteralmente scappai. Lo lasciai ancora incredulo al parcheggio: non aveva senso aspettarsi sulla rampa per l'ultimo saluto, era già stato abbastanza drammatico così.
“Ho dentro un dolore grande ma rispetto la tua decisione. Mi manchi. Ti amo”: il suo sms prima che decidessi di spegnere il telefono.
Adesso era davvero finita.

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