Sotto le volte della galleria affollata di gente ricca, un suono che ha il sapore di un tempo ormai lontano. Si confonde con il brusio di chiacchiere inutili, ma penetra dentro e lascia una strana sensazione: la voglia di capire quale sia la sua origine. Non si tratta della musica che negozi e bar mettono per attirare e rilassare la clientela…..E’ qualcosa di più forte e più vibrante. Lasciarsi sedurre e guidare….Ed ecco, proprio là in mezzo, in pieno contrasto con l’eleganza sfacciata dei passanti, con lo sfarzo dei negozi addobbati per le feste di Natale, con la pavimentazione di marmo tirata a lucido, cinque piccoli musetti scuri, sporchi e malvestiti, suonano i loro violini un po’ sciupati. Un cerchio di gente intorno che guarda stupita e incuriosita. Il più piccolo avrà tra sì e no 10 anni, il più grandicello, che ha una fisarmonica che sembra uscita dalla casa di Babbo Natale, avrà forse 14 anni. Non sono sicuramente mai entrati in un Conservatorio e forse nemmeno sanno cosa sia il Teatro alla Scala che si trova proprio qua dietro. Suonano però con una leggerezza ed una maestria che lascia interdetti. Gli archi giocano sopra le corde con una naturalezza che ha del magico e le note si rincorrono in arabeschi sonori che volteggiano nell’aria satura di profumi artificiali. Mani troppo piccole per essere così sapienti e volti troppo segnati per essere così infantili. Guadagnarsi il pane in qualche modo in una città inclemente anche con i più piccoli. E farlo con dignità….non tendendo un piattino od un cappello bucato e scolorito, ma con un’arte degna di una grande orchestra. Alla fine di ogni brano un vuoto dissonante si impadronisce dello spazio intorno e lascia con il fiato sospeso. Poi tutto ricomincia e di nuovo la magia torna a percorrere le volte illuminate a festa. Sorridono i piccoli gitani, nelle loro magliette striminzite e stinte, abituati al freddo e alle privazioni, abituati a vincere la paura della grande città. Sorridono e sembrano fuori dalla realtà che li circonda, fatta di frustrazioni e compromessi, di falsità e ipocrisia. Lontani, trasportati dalla loro musica in una dimensione più vera e più libera. Bach è il loro maestro e padre, anche se forse non sapranno mai chi era, ma questo poco importa. Al di là del formalismo della cultura imperante loro hanno saputo cogliere il senso, hanno attinto all’anima. Continuano a suonare, anche se è quasi ora di cena e fa freddo, incuranti di chi si ferma e di chi si allontana per immergersi di nuovo nel trambusto del passeggio di un giorno festivo. Pacchetti avvolti in carte lucide ornate di fili dorati nelle mani dei passanti. E loro lì, sporchi e spettinati, che suonano…..Che contrasto assurdo! E’ quasi imbarazzante. Ma la musica è ancora nell’aria, vibrante e limpida come un cristallo. L’unica nota stonata: un signore con un cappotto di Dolce&Gabbana e un Rolex d’oro al polso si china per adagiare dentro la custodia aperta di un violino una moneta da 50 centesimi, mentre il piccolo suonatore gitano gli sorride illuminando con i suoi denti bianchi un viso troppo ingenuo per farlo vergognare e gli dice “Buon Natale!”
domenica 23 dicembre 2012
....piccoli gitani...
Sotto le volte della galleria affollata di gente ricca, un suono che ha il sapore di un tempo ormai lontano. Si confonde con il brusio di chiacchiere inutili, ma penetra dentro e lascia una strana sensazione: la voglia di capire quale sia la sua origine. Non si tratta della musica che negozi e bar mettono per attirare e rilassare la clientela…..E’ qualcosa di più forte e più vibrante. Lasciarsi sedurre e guidare….Ed ecco, proprio là in mezzo, in pieno contrasto con l’eleganza sfacciata dei passanti, con lo sfarzo dei negozi addobbati per le feste di Natale, con la pavimentazione di marmo tirata a lucido, cinque piccoli musetti scuri, sporchi e malvestiti, suonano i loro violini un po’ sciupati. Un cerchio di gente intorno che guarda stupita e incuriosita. Il più piccolo avrà tra sì e no 10 anni, il più grandicello, che ha una fisarmonica che sembra uscita dalla casa di Babbo Natale, avrà forse 14 anni. Non sono sicuramente mai entrati in un Conservatorio e forse nemmeno sanno cosa sia il Teatro alla Scala che si trova proprio qua dietro. Suonano però con una leggerezza ed una maestria che lascia interdetti. Gli archi giocano sopra le corde con una naturalezza che ha del magico e le note si rincorrono in arabeschi sonori che volteggiano nell’aria satura di profumi artificiali. Mani troppo piccole per essere così sapienti e volti troppo segnati per essere così infantili. Guadagnarsi il pane in qualche modo in una città inclemente anche con i più piccoli. E farlo con dignità….non tendendo un piattino od un cappello bucato e scolorito, ma con un’arte degna di una grande orchestra. Alla fine di ogni brano un vuoto dissonante si impadronisce dello spazio intorno e lascia con il fiato sospeso. Poi tutto ricomincia e di nuovo la magia torna a percorrere le volte illuminate a festa. Sorridono i piccoli gitani, nelle loro magliette striminzite e stinte, abituati al freddo e alle privazioni, abituati a vincere la paura della grande città. Sorridono e sembrano fuori dalla realtà che li circonda, fatta di frustrazioni e compromessi, di falsità e ipocrisia. Lontani, trasportati dalla loro musica in una dimensione più vera e più libera. Bach è il loro maestro e padre, anche se forse non sapranno mai chi era, ma questo poco importa. Al di là del formalismo della cultura imperante loro hanno saputo cogliere il senso, hanno attinto all’anima. Continuano a suonare, anche se è quasi ora di cena e fa freddo, incuranti di chi si ferma e di chi si allontana per immergersi di nuovo nel trambusto del passeggio di un giorno festivo. Pacchetti avvolti in carte lucide ornate di fili dorati nelle mani dei passanti. E loro lì, sporchi e spettinati, che suonano…..Che contrasto assurdo! E’ quasi imbarazzante. Ma la musica è ancora nell’aria, vibrante e limpida come un cristallo. L’unica nota stonata: un signore con un cappotto di Dolce&Gabbana e un Rolex d’oro al polso si china per adagiare dentro la custodia aperta di un violino una moneta da 50 centesimi, mentre il piccolo suonatore gitano gli sorride illuminando con i suoi denti bianchi un viso troppo ingenuo per farlo vergognare e gli dice “Buon Natale!”
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