venerdì 11 gennaio 2013

.....dubbi.... (cap.XII)


Le cose di ogni giorno, si sa, sono una bella terapia contro un eccesso di mentalismo che spesso crea solo confusione e toglie la tranquillità. Il lavoro, la famiglia hanno spesso la funzione di difenderci proprio da noi stessi, da quei momenti in cui quell'ansia di libertà che è insita nella natura umana, ci fa vedere tutto come una prigione e produce un istinto alla ribellione che la ragione è, o dovrebbe essere, in grado di controllare. E' spesso una cattiva interpretazione del concetto di libertà che ci conduce verso un vittimismo che non ha ragione di essere. Le situazioni che viviamo non sono altro, infatti, che il frutto delle nostre libere scelte di cui dobbiamo poi assumerci la responsabilità. Ma non sempre è facile tenere a bada l'istinto, specie per chi, come me, è più portato all'irrazionalità e all'impulsività. I moti del cuore. Così li chiamavo e, devo riconoscere, il mio cuore era abbastanza ballerino, sempre in cerca della pulsazione violenta che mi desse la certezza di essere viva davvero. Mi rendevo conto che forse alla mia età avrei dovuto guardare le cose da un'altra prospettiva, e ci provavo anche, ma non riuscivo poi a essere veramente me stessa dentro quella prospettiva: accontentarsi di un quieto affetto, solido e duraturo, gratificarsi di un certo agio economico e della stabilità nel lavoro, godere dei figli e accompagnarli verso la loro realizzazione. Ce n'era di che essere felice e soddisfatta e spesso mi chiedevo se non ci fosse una sottile perversione nella mia ricerca di una felicità che forse possedevo già senza riconoscerla, o che forse nemmeno esisteva. Sta di fatto che nel tempo si faceva sempre più forte quel senso di inquietudine dentro che mi faceva desiderare di sperimentare nuove strade per scoprire luoghi sconosciuti della mia anima che io immaginavo meravigliosi. E così le mie giornate erano sempre più contraddistinte da un senso di instabilità che, lo sapevo, poteva diventare estremamente pericoloso. 
Matteo si stava inserendo in tutto questo, ma pensavo ancora di essere in grado di tenere in mano le redini della situazione: non mi sentivo coinvolta emotivamente, mi incuriosiva soltanto quel suo modo un po' carino e un po' bastardo di porsi, mi gratificavano la sua assiduità e la sua voglia di conquistarmi, anche perché era di qualche anno più giovane di me, ma non lo ritenevo pericoloso. Gli avrei concesso qualcosa, se non si fosse stancato prima, ma con molta calma e stando bene attenta a non compromettere il rapporto con mio marito. Una innocente evasione, senza nessun'altra implicazione: ce la potevo fare. Cominciai così a stare al gioco: rispondevo con compiacimento ai suoi sms che si facevano sempre più intimi e mi fingevo l'inizio di una storia d'amore in cui immedesimarmi come un'attrice sul palcoscenico. Le nostre telefonate si fecero più frequenti e più lunghe, lui si stava appassionando, mi riempiva di frasi carine, smaniava di vedermi ancora, mi proponeva mille cose e tutto questo, aumentando la mia autostima, migliorava il mio umore. Riuscivo perfino ad essere più disponibile con Tommaso che accolse con piacere questo mio cambiamento, anche se non mi chiese mai a cosa fosse dovuto. Devo dire che, per quanto mi riguardava, mi sarei accontentata anche di una “pseudo storia telefonica”, mi bastavano le emozioni che correvano via etere e non sentivo il bisogno di un contatto fisico con Matteo, ma lui invece era proprio a quello che mirava. Fu così che dopo una settimana ci vedemmo ancora. Solito posto, solito paese. Ci avventurammo per i vicoli e poi per un viottolo che si addentrava in un parco di abeti secolari dove panchine di legno offrivano ospitalità a chi avesse voluto godere dell'ombra di quelle generose piante nella calura delle giornate estive. Ci sedemmo mentre le nostre chiacchiere e le nostre risate disturbavano allegramente la quiete di quel luogo solitario. Vicini, con un po' di confidenza in più, senza affrontare argomenti imbarazzanti. Solo noi, quasi fossimo due ragazzini, con i telefoni prudentemente abbandonati in macchina affinché la vita vera non venisse a turbare quelle tre ore che stavamo rubando. Mi accorsi di essere più accogliente quando le sue braccia mi cinsero, non provai quel senso di irrigidimento che è segno di autodifesa e anzi, ricambiai il suo abbraccio. Una battuta un po' allusiva e la sua bocca sulla mia mentre le sue mani tra i capelli mi regalavano una piacevole sensazione. Ci baciammo a lungo, dapprima un po' titubanti e poi con sempre maggiore intensità e trasporto. 
<<Marta mi fai sragionare. Ho dovuto pensare ad una sciagura aerea per mantenere il controllo!>> <<Carino che mentre un uomo ti bacia pensa alle disgrazie. Almeno si è salvato qualcuno?>> 
<<No, tutti morti, uomini donne e bambini. E' solo grazie a questo pensiero che mi sono fermato per prendere fiato.>> 
Mi misi a ridere e questo fu solo l'inizio. Tra una battuta e una risata le nostre bocche si incontrarono spesso, i nostri corpi conobbero contatti molto ravvicinati e solo quando il desiderio era ormai salito fino ad un limite pericoloso io lo invitai ad abbandonare la panchina per fare due passi. Ci volle un forte atto di volontà per interrompere quel turbine di emozioni che si erano scatenate, ma non volevo spingermi oltre. Un gioco da ragazzini, come quelli che avevano lasciato scritto sulla panchina il loro amore, forse già finito. Un test, per vedere fino a che punto era in grado di coinvolgermi. Se non mi ero lasciata andare più di tanto, se avevo avuto la determinazione di fermarmi, era ancora tutto facilmente gestibile. Ci trovammo dopo un po' seduti in un bar, nella piazza centrale. La meridiana sul palazzo del Comune segnava le sei, ma c'era l'ora legale. Le sette. L'ora di scappare via, ma ci prendemmo il tempo per un aperitivo. Di nuovo il parcheggio, la macchina e quel senso di fuga per non fare tardi e dover poi dare spiegazioni a casa. In prossimità della diramazione ancora la sua freccia: stavolta sapevo cosa voleva. Scendemmo in fretta, un forte abbraccio, ancora un bacio e poi via, a iniziare altri giorni di attesa. Tempo cinque minuti arrivò il suo sms: “Marta ti voglio”. Non mi fermai a rispondere, l'avrei fatto da casa. E poi ancora: “E' bello stare con te. Torno presto.” Mi chiedevo come accidenti facesse a guidare e scrivere sms, io non ci sarei mai riuscita e, anzi, mi sentivo già estremamente imprudente a leggerli. Per lui invece era normale perché ne arrivò un altro: “Sei dolcissima. Mi stai entrando dentro”. Decisi di chiamarlo prima che si schiantasse da qualche parte. 
<<Ma sei impazzito? Smetti di scrivere messaggi e pensa a guidare!>> 
<<E invece non riesco a pensare ad altro che a te. E' stata una bellissima giornata. Grazie tesoro.>> 
<<Non mi ringraziare, dai, mi metti in imbarazzo. Non ho fatto niente, è stato tutto molto spontaneo.>> 
<<Sì. È vero. Il tempo è volato via. Stiamo bene insieme, non ci si annoia.>> 
<<Decisamente no, sei un pazzo scatenato.>> 
<<Ci vediamo presto, dai. Magari andiamo da un'altra parte così vediamo cose nuove.>> 
<<Matteo, non so... ho paura che mio marito se ne accorga.>> e mi morsi subito la lingua. Proprio non ero capace di astrarmi e vivere il presente. 
<<Dipende da te. Non voglio che fai casino, ma sai da sola che non ti lascerò andare, ora non posso più farlo.>> 
<<Ma tu come fai a essere così tranquillo???>> 
<<Io faccio quello che mi fa stare bene. Se lei mi aggredisce perché non è soddisfatta io urlo più di lei. Noi siamo abituati alle risse, ma non parliamo mai, le cose passano da sole.>> 
<<Sarà come dici tu...>> Non ero molto convinta in effetti, io ero abituata da sempre a discutere con Tommaso dei problemi che ci si presentavano per cercare insieme soluzioni anche se era vero vero che spesso era sfibrante e non si riusciva a venirne a capo, ma era un fatto di onestà: comunicare le proprie difficoltà e i propri stati d'animo, mantenere aperto un dialogo era fondamentale in una coppia. 
<<Senti piccola, fra una decina di giorni parto per le vacanze. Intanto tu pensa a quello che vuoi fare, ok?>> 
<<Sì, va bene. Ciao Matteo. Chiamami domani.>> 
<<Sì, ti chiamo. Ciao. Un bacio.>> 
Pensai all'ultima cosa che mi aveva detto. Lo immaginai sereno con la moglie e il figlioletto: con quale diritto mi inserivo in mezzo a loro portando scompiglio? E' vero che l'iniziativa era stata sua, è vero che io correvo rischi anche peggiori, ma se lo assecondavo avevo le stesse responsabilità sue, perché sebbene non fosse ancora successo niente, c'erano i presupposti perché accadesse tutto. Il suo essere sempre presente, la sua determinazione, il tempo che passava così in fretta quando eravamo insieme, quei baci, mi facevano capire che era solo una questione di tempo, poco tempo. Ero contenta che partisse per le vacanze, in questa fase una settimana lontani poteva essere decisiva e letale: meglio lasciar perdere subito piuttosto che mettere in piedi qualcosa che non aveva ragione di esistere. Non volevo compromettere la mia famiglia, né lui la sua, e un'avventuretta mi avrebbe fatto solo male. Mi resi conto, in un attimo di lucidità, di quanto mi creasse confusione quel rapporto: prima di vederlo pensavo ad una innocente evasione da vivere in libertà, dopo averlo visto ero assillata dal timore che diventasse qualcosa di più e questo mi terrorizzava al punto da indurmi a progettare di non vederlo più. Di certo Matteo non mi aveva folgorato, ma poi, quando stavamo insieme, qualcosa succedeva. Mi soffermai sul pensiero di non vederlo e neppure sentirlo per una settimana: non mi angosciava l'idea, questo no, ma mi creava un sottile fastidio e sentivo che non volevo perderlo. Indecifrabili erano ancora i miei sentimenti: simpatia, complicità, voglia di giocare, amicizia. Non sapevo cosa fosse, ma quel sentirmi in qualche modo legata a lui mi creava inquietudine perché non mi faceva sentire padrona delle mie scelte. C'era comunque ancora una settimana prima che partisse, sicuramente ci saremmo visti di nuovo, potevo capire meglio cosa stava succedendo. Una cosa però dovevo assolutamente tenere in considerazione: per tutto il tempo che ero stata con Matteo e anche mentre stavo tornando, il pensiero di mio marito non mi aveva nemmeno sfiorato se non per la paura che lui mi scoprisse. Questo non mi aiutava a capire cosa stesse di preciso accadendo con Matteo, ma era un bel segnale che mi metteva di fronte al fatto che Tommaso non era più al centro dei miei pensieri. Mi resi conto che era soprattutto questo che avrei dovuto affrontare dentro di me prima di confondermi ulteriormente in qualsiasi altra situazione, ma già sapevo che la mia fragilità e le mie paure non mi avrebbero permesso di prendere le cose di petto: probabilmente sì, ero matura per incasinarmi in una doppia relazione, mio malgrado, e Matteo era proprio la persona giusta: entrambi sposati, entrambi insoddisfatti, e, matematicamente, entrambi infedeli. Non che mi piacesse tutto questo, ma razionalmente mi sembrava di stare per imboccare proprio quella strada. Si trattava solo di scegliere: lasciare perdere tutto subito o intraprendere una relazione extraconiugale. Un sms interruppe i miei pensieri: “Mi manchi. Torno su presto, molto presto.” . “Mi manchi anche tu. Non vedo l'ora di rivederti.” E dopo tanto pensare la mia risposta era stata così improvvisa e spontanea che dovetti ammettere con me stessa che ero stata sincera. Con tutto ciò che questo avrebbe significato. 

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