venerdì 19 ottobre 2012

....la prima volta.... (cap.XV)



Chissà perché, ma contrariamente a quanto succede a molti, non mi dispiaceva quasi mai cominciare una nuova settimana e, in particolare, rivedere Matteo non mi dispiaceva affatto. Cominciavo ad abituarmi alla sua presenza assidua e quel suo modo di fare così spavaldo e invadente cominciava a piacermi. Una novità. Era diverso da tutti gli uomini che avevo conosciuto e mi incuriosiva, mi gratificava quel suo cercarmi sempre, senza tregua, come se fossi la cosa più importante del mondo. Non ci ero abituata. Mi dicevo che non dovevo fidarmi troppo: la lontananza, la sua situazione stabile, a cui più volte aveva detto di tenere, non erano problemi da poco: era il contesto ideale per scappare una volta ottenuto ciò che voleva. Poteva essere in quel momento molto stimolante avere un fortezza da espugnare, ma poi? Era una domanda quasi retorica: poi ognuno sarebbe semplicemente tornato alla sua vita. Già, ma bisognava essere sicuri di tenere sotto controllo le proprie emozioni: forse lui ci sarebbe riuscito, io ero sicura di no.
Dopo il lavoro, senza passare da casa visto che anche Tommaso pranzava fuori, mi diressi al luogo stabilito, sempre lo stesso: ormai cominciavo ad affezionarmi a quel parcheggio. Ero in anticipo, stavolta lo avrei aspettato io anche se al telefono mi aveva già avvisato che stava per arrivare. Rilassata sul sedile, con la musica in sottofondo, socchiusi gli occhi e lo immaginai alla guida della sua auto, ansioso di arrivare, immaginai il suo sorriso scanzonato appena mi avesse vista e mi venne da sorridere. Era sparita ormai quella freddezza con cui lo accoglievo di solito. Mi accorsi che mentre lo aspettavo qualcosa mi si stava sciogliendo dentro e un sottile filo di ansia mi faceva capire che desideravo arrivasse prima possibile. Quando finalmente vidi la sua auto sulla rotonda qualche palpito si fece avvertire e fu proprio in quel momento che mi sentii in pericolo: quando le emozioni si risvegliano è molto più difficile far funzionare la testa. Facevo appello alle mie convinzioni e alle sue: quelle ci avrebbero difeso da qualsiasi rischio di coinvolgimento eccessivo. La famiglia era al primo posto, per tutti e due: era il solo punto fermo che avevamo. Il nostro saluto fu questa volta un po' più confidenziale e la mia spontaneità nel ricambiare il suo bacio lo lasciò piacevolmente sorpreso: 
<<Hai deciso di fare la brava oggi?>> e mi baciò di nuovo. 
<<Non te ne approfittare però...>> dissi in un sospiro sorridendo. E il gioco era già cominciato: un luogo un po' fuori mano, una passeggiata, due chiacchiere e intanto un cercarsi con gli occhi, con le mani, con la bocca, per imparare a conoscersi e a sentirsi meno estranei. Devo dire che quel suo non avere fretta, non forzare le tappe, mi rassicurava, mi permetteva di essere spontanea. Di solito gli uomini vanno dritti alla meta, così diceva anche Giulia che ogni tanto mi prendeva in giro: 
<<Mica avrà qualche problemino??? Eppure che gli piaci è certo, forse. O forse ha bisogno di una migliore amica? Perché tu sei proprio adatta!>> e rideva, e ancora aggiungeva : <<Senti Santa Marta, non fargli passare le voglie con quell'arietta da ragazzina che non ci sta. Se ti piace cosa aspetti? Sei sempre tu eh. Ti ricordi, gioia, quanti anni hai? A questa età le cose si prendono con un po' più di decisione!>> 
Io non le davo ascolto, ovviamente, rinunciavo anche a giustificarmi perché pensavo che in fondo avesse ragione. Ma mi piaceva troppo quello scoprirsi piano piano, cercando una confidenza che era tutta da costruire, anche se non valutavo, e questo fu un errore, che quel modo di gestire la situazione non aveva niente a che vedere con un'avventura o un'evasione. Me ne accorsi quando, distesi lungo la riva del fiume a guardare un cielo limpido di luglio, d'improvviso sentii la sua bocca sulla mia, il peso del suo corpo addosso, le sue mani a cercare la mia intimità. L'emozione quasi mi impedì di respirare e fu grande il desiderio di lasciarsi andare a quell'impeto che non gli conoscevo. “Ed ecco anche la passione...” mi venne da pensare mentre un brivido mi attraversava il cervello. Mi arresi senza nemmeno rendermene conto, mentre i suoi “Ti voglio!” rimbombavano nella mia mente e i miei “No!” pronunciati con un filo di voce contraddicevano pietosamente il mio corpo che si offriva a lui senza riserve. Era dentro di me, lo accoglievo e assecondavo i suoi movimenti lenti ma il rumore di una macchina, in lontananza, mi riportò alla realtà. Lo allontanai con decisione mentre quasi urlai: 
<<Basta! Non voglio!>>. Mi coprii il viso con le mani per non vedere la sua espressione incredula e ferita mentre si ricomponeva. Passarono pochi minuti prima che uno dei due riuscisse a parlare, ma mi sembrarono un'eternità. Mille pensieri mi attraversarono la mente, ma solo uno fu quello che mi mise addosso l'angoscia: “L'ho fatto di nuovo. Ho tradito mio marito.” Mi sentivo sporca, volevo andare a casa. 
<<Marta, cosa è successo? Cosa ho fatto di sbagliato?>> 
<<No, niente, scusami. Sono una stupida.>> 
<<No, non sei stupida. Forse non era il momento, ma mi sembrava che lo volessi anche tu. Ti ho sentita piena di desiderio e di passione, non mi è venuto in mente di aspettare ancora. Ti giuro che una cosa così non mi è mai successa.>> 
<<Hai ragione, non è colpa tua, sono io che non mi sento abbastanza coinvolta, ma ora riportami alla macchina, per favore. Voglio andare a casa.>> 
Appena saliti mise in moto e lungo il tragitto che ci riconduceva al parcheggio nessuno dei due ebbe più la forza di parlare. Prima che scendessi mi trattenne delicatamente per un braccio: 
<<Marta, domani parto, come sai. Lei sarà sempre con me, non so quando potrò chiamarti. Appena mi sarà possibile lo farò.>> 
<<Va bene. Ciao. Buone vacanze.>> e quasi scappai via. Volevo allontanarmi da lui, il più velocemente possibile. 
Tornando verso casa ricominciò la sequela degli sms: scuse, dolcezza, passione, desiderio, ma mi scorrevano davanti agli occhi senza che io riuscissi a registrarne il senso. Una frase invece riecheggiava tra le mille idee confuse che avevo in testa. “Lei sarà sempre con me, non so quando potrò chiamarti.>> Avevamo appena fatto l'amore, anche se non era andata proprio bene, e lui si preoccupava di non farsi sorprendere al telefono nei giorni seguenti. Questa, che mi sembrò una mancanza di delicatezza nei miei confronti e una contraddizione con quello che diceva di provare, accentuò quel senso di fastidio e irritazione che avevo dentro. Del resto cosa mi aspettavo? Non era stato chiaro? E io non facevo la clandestina esattamente come lui? Nascondersi. Come due ladri. Quel gioco cominciava a piacermi sempre meno. Ma allo stesso tempo mi intrigava da morire. 
Rientrare in casa suscitò in me una nuova emozione: avevo tradito mio marito e lui non lo sapeva. Non doveva nemmeno sospettare. Fingere, come se fossi appena uscita dal parrucchiere o dal supermercato, con il profumo di Matteo che non riuscivo a capire se mi si fosse attaccato ai vestiti o rimasto nel naso. Una bella prova. 
Tommaso era comodamente seduto sul divano e stava sorseggiando del prosecco. Ci salutammo di sfuggita e, per paura che trapelasse qualcosa, mi infilai in cucina. La cena, le solite quattro chiacchiere e poi di nuovo la TV. Una sera normale, come tante, come la maggior parte, senza niente da dirsi, seduti vicini e lontanissimi. Ero terrorizzata dal fatto che mio marito potesse intuire qualcosa, ma allo stesso tempo mi dispiaceva che lui non cogliesse in alcun modo il mio disagio. Avrei voluto che mi venisse più vicino e mi coccolasse un po', che facesse un gesto, anche solo uno. Che mi rassicurasse e mi costringesse a interrompere il percorso che avevo intrapreso. Ma non accadde niente: il suo zapping estenuante mi costrinse ad andare a dormire. 
Già dormivo quando lui si infilò nel letto. Mi svegliai di soprassalto nel cuore della notte, sudata e terrorizzata, senza riuscire a ricordare cosa avevo sognato per spaventarmi così. Il primo impulso fu quello di svegliare Tommaso, ma non volevo fare la figura della stupida paurosa. Mi alzai per bere un po' d'acqua, con il cuore ancora accelerato e me ne tornai a letto. Non riuscii più a dormire, mi sembrava di rivivere la giornata appena trascorsa. Matteo, le nostre risate, i suoi baci, le carezze sempre più audaci sulla mia pelle sempre più calda, il suo desiderio e all'improvviso il suo viso mi apparve deformato come in un ghigno. Sussultai di nuovo, con la fronte già imperlata di sudore. Ecco cosa era: il senso di colpa unito alla mancanza di una motivazione seria che potesse giustificare quello che avevo fatto. Quasi per farmi perdonare mi avvicinai a mio marito che era profondamente addormentato e lo abbracciai. Con la testa appoggiata sul suo petto riuscii finalmente a ritrovare serenità. Mi ripetei fino alla nausea che avevo sbagliato, che l'amore della mia vita lo avevo accanto, che non valeva la pena rischiare tutto per un capriccio che non appariva nemmeno così esaltante. Con la ritrovata lucidità conclusi che la vacanza di Matteo arrivava proprio al punto giusto: saperlo lontano con la sua famiglia mi avrebbe aiutato a prendere le distanze e a riconsiderare tutto quello che era successo sotto un'altra prospettiva. Ci eravamo suggestionati a vicenda ed entrambi eravamo vittime di fantasie fin troppo pericolose. La decisione era presa: considerare quello che era successo un incidente di percorso e passare oltre, ritornare alle nostre vite strutturate che tutto sommato, sotto molti aspetti, non erano nemmeno così insoddisfacenti. Allo stesso tempo, però, l'idea di Matteo completamente assorbito da un'altra, ancorché fosse sua moglie, mi procurò un leggero fastidio. Decisi che era meglio mettere a tacere quella sensazione senza farmi domande né cercare risposte e, ancora stretta a mio marito, cercai di dormire anche se entro un paio d'ore la sveglia mi avrebbe obbligata, in maniera poco garbata, ad affrontare una nuova giornata che non cominciò proprio nel migliore dei modi. Fu Tommaso a darmi un pessimo buongiorno: 
<< Amore ma la notte devi proprio starmi addosso? Ho riposato male e oggi ho una giornata impegnativa.>> 
<<Scusami.>> e mi resi conto che non intendevo scusarmi per essermi abbarbicata a lui mentre dormiva. Rimasi male: da sempre avevo desiderato dormire abbracciati e da sempre me l'aveva negato, ma era una di quelle cose a cui di solito non facevo più tanto caso. Non quella mattina però: quella mattina avrei avuto bisogno che mi dicesse: “Amore è sempre bello tenerti tra le braccia.” Ma mi sentivo colpevole e lo giustificai pensando che proprio non mi meritavo una frase carina, non dopo averlo tradito e ingannato.

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