Tornammo a casa verso le due e per fortuna Tommaso dormiva: non avevo affatto voglia di mettermi a raccontare la serata, anche perché non c'era molto da raccontare. Non era stata una festa particolarmente divertente, né socialmente interessante, forse non ero nemmeno dello spirito adatto. Matteo... Come avrei potuto definirlo? Simpatico. Piacevole. Ma niente di più. Una conoscenza. Me ne andai a dormire e il sonno si impadronì immediatamente di me. Mi svegliai al mattino un po' a fatica, non avevo voglia di alzarmi e del resto non erano moltissime le cose da fare. Presi dal comodino un giornale e cominciai a sfogliarlo distrattamente: abiti, acconciature, make-up, accessori, profumi. Chissà com'era finita lì quella rivista, non era il genere di lettura che mi interessava, dava l'immagine di un mondo artificiale e frivolo, fatto di soli belli, ovviamente senza anima. Lo lasciai cadere per terra dopo due minuti e mi raggomitolai nel lenzuolo fino a che decisi che era ora di una doccia e di cominciare la giornata. Tommaso era già uscito, ormai non si attardava più a letto con me: il suo entusiasmo era durato poco, ma a me non mancava affatto, anzi, mi piaceva trovarmi da sola e occuparmi di me stessa senza nessuno intorno. Dopo essermi lavata e vestita decisi di uscire e, appena salita in macchina, arrivò un sms: forse era Tommaso che voleva raggiungermi, o Giulia, o i ragazzi. Cominciai a rovistare dentro la borsa. Impossibile trovare velocemente qualcosa dentro la borsa di una donna, soprattutto dentro la mia che era sempre piena di ogni cosa. Mi capitò tra le mani anche una forchettina di plastica della sera prima. Chissà come era finita lì dentro. Stavo per arrendermi quando finalmente mi capitò tra le mani: “Ti va di venire a cena con me stasera?” Matteo. Quello era proprio suonato. E chi aveva voglia di andare a cena con lui? E a che titolo? Mi dette fastidio quella proposta un po' sfacciata, non mi sembrava di avergli dato ad intendere niente. Che il mio racconto gli avesse fatto pensare che ero una facile? Questo pensiero mi irritò ulteriormente e la mia risposta fu perentoria: “No.” Pensavo di avere chiuso la questione per cui ributtai il telefono in borsa e misi in moto. Colazione al bar, giretto in centro e ritorno. Questo il mio entusiasmante programma. Non c'era molta strada da fare, dopo dieci minuti ero già parcheggiata. Non feci in tempo a scendere che il telefono suonò ancora, questa volta era una chiamata. Guardai il display: Matteo. Ancora! Dio mio, questo era proprio un persecutore! Ero tentata di non rispondere, ma poi mi solleticò l'idea di trattarlo un po' con sufficienza, per vendicarmi. Di cosa? Mi aveva semplicemente invitato a cena. Sì, ero un po' strana a volte. <<Ciao. Dimmi.>>
<<Davvero non ti va di andare a cena insieme stasera?>>
<<Senti Matteo, tu hai una moglie, io un marito. Che cavolo ci andiamo a fare a cena insieme?>> . E subito mi morsi la lingua: mossa falsa. Avevo fatto il processo alle intenzioni che davo per scontato fossero di un certo tipo. Avrebbe potuto rispondermi per le rime facendomi fare la figura della cretina. Per fortuna non se ne approfittò:
<<Marta, scusami se ti ho offesa, ho accompagnata mia moglie e il piccolo da mia suocera. Di ritorno passo dal tuo paese, non mi andava di cenare da solo. Tutto qui.>>
<<E perché hai chiamato me? E non Giulia per esempio?>>
<<Giulia è una carissima ragazza ma è un po' chiassosa e invece dopo ieri sera io ho voglia di stare tranquillo. In più mi va di conoscerti meglio. Non sono un maniaco sessuale se è di questo che hai paura, però scusa se ho insistito.>>
Ecco, me l'ero cercata.
<<No, scusami tu, non so cosa i sia preso. E' che non so se mio marito mi farà storie se esco anche stasera, e in più da sola con un uomo.>>
<<Scusa, mica devi dirglielo con chi esci. Di' che sei fuori a cena e basta. Oppure digli che vai da Giulia. Non è difficile.>>
<<Non lo so Matteo, non te lo garantisco, caso mai ti mando un sms per la conferma.>>
<<Su dai, provaci. Mi va di stare con te. Sei una persona carina. Dai, dai!>>
Mi fece ridere, sembrava un bambino, e sì che ci avrei provato, ma dovevo davvero trovare una scusa, Tommaso non mi avrebbe di certo dato pacificamente il suo consenso. Sbuffai. Avevo troppa voglia di libertà. Pericolo. Questa smania che avevo mi sembrava più prepotente di quella che avevo provato solo un paio d'anni prima. Mi infilai dentro il primo bar e mi misi seduta ad un tavolino, avevo voglia di godermela, senza fretta. Mentre sorseggiavo il mio tè alla cannella pensavo a come avrei potuto organizzarmi la serata. Dovevo chiedere a Giulia di coprirmi. La chiamai.
<<Marta, che c'è?>> La sua voce era ancora impastata di sonno, di sicuro stava ancora dormendo e io l'avevo costretta ad emergere dall'abisso dei suoi sogni scomposti.
<<Scusa Giulia, stavi ancora dormendo?>>
<<Ma no. Ho appena finito di leggere i “Promessi sposi”. Certo che dormivo, è l'alba.>>
<<Non è l'alba, sono le undici. Scusa se ti ho disturbato.>>
<<Vedi che almeno sia una cosa importante altrimenti giuro che appena ti rivedo ti faccio del male fisico.>> E stava sbadigliando. Mi sentivo un po' in colpa.
<<Senti Giulia, ho avuto un invito a cena. Posso dire a Tommaso che esco con te?>>
<<Ah! - all'improvviso si era svegliata – E con chi vai visto che non puoi dire la verità a tuo marito?>>
<<Matteo>> La sua risata mi fece sentire piccola piccola, ero di sicuro arrossita e già pentita di aver agito troppo impulsivamente.
<<Ma guarda te il nostro Matteo! Mai che se ne lasci sfuggire una! Ma non hai detto che non ti piaceva?>>
<<Giulia ma che hai capito? Certo che non mi piace, però è gradevole come persona e io ho voglia di uscire, solo che Tommaso non la prenderebbe bene, mi farebbe un sacco di domande, invece a me non va di discutere. Non faccio niente di male.>>
<<Sì, sì, tranquilla, non devi giustificarti con me. Fai bene. E' solo che mi suona strano: tu che inventi una bugia per uscire con uno che non ti piace. Lui che si fa più di cento chilometri per uscire con te che conosce da due ore. Bah! Va bene, ti copro, a patto che poi mi racconti tutto tutto tutto!>>
<<Non ci sarà niente da raccontare, però va bene. Promesso. Grazie, Giulia.>>
<<Di niente, cara. Passa una bella serata. Ciao.>>
Chiusa la telefonata cominciai ad agitarmi: aveva ragione Giulia. Che cavolo mi era venuto in mente di accettare quell'invito a causa del quale mi sentivo costretta a mentire a mio marito? Non ci ero abituata e non mi piaceva, però era il modo più semplice per non suscitare vespai e, ad essere proprio sincera, fare qualcosa di nascosto mi dava anche una certa eccitazione. Movimento di emozioni: di questo avevo bisogno, di qualunque genere fossero. Lo sforzo più grosso era informare Tommaso, cercando di sbandierare una disinvoltura ed una faccia tosta che non mi appartenevano. Uscii dal bar, feci quattro passi e tornai a casa. Appena entrata, lo scroscio della doccia in lontananza mi avvertì che anche lui era tornato. Agitazione, nervosismo, deglutii un paio di volte e mi preparai ad affrontarlo. Si presentò in cucina in accappatoio e la conversazione si portò sui soliti argomenti: che hai fatto, dove sei stata, ti sei divertita ieri sera, che combina Giulia e così via. Tranquillamente risposi, ma dovevo trovare il modo di buttare là la mia richiesta che non ne voleva sapere di uscire dalla mia bocca. Ero proprio imbranata! Del resto non è facile essere spontanei quando ci si sente in colpa. Non mi piaceva ingannare e tra l'altro lui nemmeno se lo meritava, ma ormai avevo deciso così.
<<Senti Tommaso, stasera esco con Giulia, andiamo a cena da una sua amica che ha una casa in campagna.>>
<<Ma sei uscita ieri sera! Non possiamo fare qualcosa insieme?>> No, non mi andava di stare con lui, questa era la verità, ma non potevo certo dirglielo.
<<Va beh, è capitato così, magari usciamo domani sera io e te. Stasera mi farebbe piacere uscire con loro. Se proprio devi arrabbiarti dico che non vado.>> Il mio tono era già spento e rassegnato.
<<No, non mi arrabbio, se preferisci uscire con loro vai. Certo, non mi fa piacere. Mi sembri piuttosto distante ultimamente.>>
Presi subito fuoco:
<<Distante perché per due sere di fila esco con le mie amiche? Quante sere siamo stati qui a non fare niente?Ma cosa pretendi? Che stia sempre e solo appresso a te? Ho bisogno d'aria, come te del resto. Tu esci, vai, fai. Io non ti sto col fiato sul collo, non farlo nemmeno tu, lo sopporterei male!>>
Fui la prima a stupirmi di questa reazione. Era un'implicita minaccia? Credo che in parte lo fosse: io che avevo sofferto per anni del suo modo distaccato di porsi con me, ora non tolleravo quel suo essere possessivo.
<<Non c'è bisogno di scaldarsi tanto, ho solo espresso una sensazione. Vai,vai, troverò altro da fare.>>
Questi erano i momenti in cui Daniele e Francesca mi mancavano di più: erano in grado di smorzare con la loro allegria ogni tensione. Era vuota la casa senza di loro, troppo silenziosa. Il fatto di non dovermi occupare costantemente di loro mi aveva costretto a concentrarmi di più su me stessa. Quando tornavano a casa, ogni quindici giorni, o quando andavo a trovarli, tutto si ridimensionava, la mia mente era occupata dalla loro presenza ed era più facile non pensare. Ma quando invece rimanevo sola con mio marito era inevitabile dover fare i conti con quello che noi eravamo come coppia. Io e lui. Con le mille cose che ci univano e le mille che ci allontanavano. Non avevamo molte cose da dirci e, soprattutto quando l'equilibrio si alterava, ognuno si chiudeva nei suoi pensieri. Rumore di stoviglie a sottolineare un vuoto che sembrava sempre più difficile da riempire.
Dopo pranzo evitammo accuratamente di trovarci nella stessa stanza per evitare di riprendere un argomento che ci avrebbe portato nella solita pozza di fango: le sue esigenze e le mie, le sue pretese e le mie ribellioni, i suoi spazi e i miei che sempre più si allargavano riducendo quelli comuni. E alla base la domanda di sempre: ma ci amavamo davvero? Non avevo certo intenzione di darmi una risposta in quel momento, certo è che se avevo preferito accettare l'invito di uno sconosciuto piuttosto che inventarmi una serata piacevole con mio marito qualcosa non andava. Per non sentire troppo forte la contraddizione che stavo vivendo, cercai di non pensare troppo all'evento, trascorsi il pomeriggio leggendo e sfaccendando per casa, come un qualsiasi altro giorno, e verso le sette cominciai a prepararmi. Un solo sms: “Ci vediamo alle otto al parcheggio dell'Autogrill.” La risposta: “Mi fa molto piacere. Ti aspetto. A dopo”. Non volevo dare troppa importanza alla cosa, anche perché non ne aveva. Non mi preoccupai troppo dell'abito: a Tommaso avevo detto che si trattava di una cena tra amiche in una casa di campagna quindi jeans e maglietta potevano andare bene. Uscii un quarto alle otto dicendo appena “Ciao” e non mi preoccupai nemmeno di aspettare la risposta: ero irritata e non mi sentivo in dovere di dare né spiegazioni, né rassicurazioni. In più non ero particolarmente allettata da quell'incontro: sperai in cuor mio che almeno Matteo fosse di buon umore e mi tenesse allegra. Arrivai con dieci minuti di ritardo, c'era traffico sulla strada e non mi andava di correre. Quando mi vide arrivare lui scese dalla sua macchina per venirmi incontro: no, non mi piaceva affatto. Meglio, questo mi rendeva più sicura di me.
<<Ciao.>>
<<Ciao. Che carina che sei! >> e sorrise. Il suo bel sorriso, un po' timido e un po' sbarazzino. Quello sì, mi piaceva.
<<Grazie.>> E non seppi aggiungere altro. Non so perché ma quel complimento mi aveva un po' messo in imbarazzo.
<<Che dici, ceniamo stasera?>>
<<Io non ho molta fame in verità, però sì, dai, non voglio costringerti a diete forzate.>> “Anche se non ti farebbe mica male” pensai facendo caso al suo addome rotondetto. Mi pentii subito di questo pensiero non proprio carino: era stato gentile, non c'era motivo che fossi acida.
<<Hai idea di dove potremmo andare?>>
<<Fermiamoci nel paese qua vicino. Qualcosa troveremo.>>
<<Ristorante o pizzeria?>>
<<Come vuoi tu. Per me fa lo stesso.>>
<<Bene, mi piaci. Hai le idee chiare.>> E si mise a ridere.
Non cominciava bene: avevo subito fatto la figura dell'amorfa e lui si divertiva pure. Intanto l'imbarazzo saliva e faticavo a sentirmi a mio agio. Per fortuna lui era un chiacchierone. Parlava, parlava, parlava. E io ascoltavo, ascoltavo, ascoltavo. Raccontava di tutto ma evitava accuratamente di dirmi di sua moglie e della sua amante e io evitavo di chiedere. Dopo aver parcheggiato e girato un po' per il paese decidemmo di infilarci in un ristorante. Cena leggera. Ogni tanto sorprendevo il suo sguardo su di me e abbassavo gli occhi. Mannaggia la timidezza! Un po' mi ero rilassata, ma non potevo nascondermi che mi faceva uno strano effetto. Dopo cena ci fermammo ai giardini pubblici. Seduti su una panchina ci lasciammo sorprendere dall'intimità di una sera calda e stellata. Le nostre voci si erano abbassate di volume, soprattutto la sua. Mi stava vicino.
<<Mi piace stare con te. Sei così morbida e femminile!>>
Una risatina di imbarazzo.
<<Grazie. Anche a me piace stare con te.>>
Il suo viso più vicino al mio, pericolosamente vicino. Un bacio leggero sulle labbra.
<<No, Matteo, non mi pare il caso.>>
<<Sicura? Sicura sicura?>> E di nuovo la sua bocca appena appoggiata sulla mia.
<<No, non siamo nella condizione di potercelo permettere e poi, sinceramente, non provo niente che abbia a che fare con un bacio.>>
Non si lasciò affatto scoraggiare. Si avvicinò all'orecchio per sussurrare:
<<Dieci no prima di un sì... Mi piace da morire!>> E di nuovo mi sfiorò le labbra con le sue. Ero soggiogata da quel gioco, stavo quasi per cedere e abbandonarmi ma trovai la forza per scuotermi.
<<Senti, non so cosa tu abbia in mente. Hai una moglie, un'amante e anch'io ho un marito. Forse ti ho fatto credere che sono in cerca di avventure? Non è così, credimi. E non dico che rifiuto a priori qualsiasi occasione. Sono inquieta, non te l'ho nascosto, ma voglio sentire qualcosa di forte, e non è questo il caso.>>
Come se non mi avesse nemmeno sentito, mi posò di nuovo un leggero bacio sulla bocca.
<<Quanto parli...>>
A questo punto dovevo forse essere più esplicita:
<<Mi riaccompagni alla macchina? Si è fatta ora di tornare a casa.>>
Fu come una doccia fredda, ma del resto se l'era cercata.
<<Scusami, non volevo esagerare.>>
<<Lascia perdere.>>
<<Ti va di vederci ancora?>>
<<No, non mi pare il caso. Non mi interessa. Non offenderti. Sei una piacevole compagnia ma niente di più. Possiamo sentirci se ti va, ma solo questo. Inutile che fai ogni tutti questi chilometri per me.>>
<<E la cena con Giulia?>>
<<Invita lei.>>
<<Avevamo detto di andare insieme, non sarebbe carino.>>
<<Ok, se c'è Giulia va bene, ma poi finisce lì.>>
<<Come vuoi.>>
Il suo tono si era fatto piuttosto spento, era rimasto davvero male e io ero abbastanza arrabbiata. Ma per chi mi aveva preso? E cosa si aspettava? Nemmeno mi piaceva e non avevo voglia di complicarmi la vita con un farfallone in cerca di emozioni nuove. Ero già abbastanza incasinata di mio e il sesso era davvero l'ultima cosa di cui avevo bisogno. Mentre raggiungevamo il parcheggio calò il silenzio tra noi. Nel buio solo il rumore dei nostri passi. Il tragitto era breve ma mi sembrò lunghissimo. Ci salutammo un po' freddamente e poi via, ognuno per la sua strada. Mentre guidavo pensai che forse avrei fatto meglio a starmene a casa con mio marito.
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